Logo-Grotta-di-Santa-NinfaRiserva Naturale

Grotta di Santa Ninfa

La Riserva Naturale “Grotta di Santa Ninfa”, ricadente nei territori comunali di Santa Ninfa e Gibellina, in provincia di Trapani, è stata istituita per la tutela e la valorizzazione di un’area di notevole interesse geologico e paesaggistico.

L’area protetta è interamente compresa all’interno del più vasto Sito Natura 2000 “Complesso dei Monti di Santa Ninfa e Gibellina e Grotta di Santa Ninfa”, istituito in attuazione della Direttiva Habitat 92/43/CEE per la presenza di diversi habitat di interesse comunitario e di specie di interesse biogeografico e conservazionistico.

Il territorio della Riserva è stato suddiviso in due diverse aree in funzione delle caratteristiche ambientali e dei diversi obiettivi gestionali:

  • la zona A è costituita essenzialmente dagli ambienti ipogei della Grotta di Santa Ninfa, una cavità di origine carsica estesa per circa 1,5 km.
  • la zona B comprende l’ampia Valle del Biviere, estesa circa 140 ha, corrispondente al bacino di alimentazione della cavità e ricca di suggestivi aspetti geologici e naturalistici legati ai fenomeni carsici nei gessi, sia superficiali che sotterranei, agli aspetti della flora e della vegetazione, alla fauna.

R. N. Grotta di Santa Ninfa

Castello di Rampinzeri

c.p. 4264041
CAP 91029 – Santa Ninfa (TP)
cell. 329.8620473-74-75

santaninfa@legambienteriserve.it
Riserva Santa Ninfa
Riserva Santa Ninfa
Centro Esplorambiente Santa Ninfa

R.N. Grotta di Santa Ninfa

Geologia

La riserva ricade all’interno di un vasto altopiano gessoso, noto fin dalla fine del 1800 negli ambienti accademici per l’importanza e la diffusione dei fenomeni carsici, esteso per oltre 1000 ha e caratterizzato dalla presenza di rocce gessose formatisi durante il Messiniano (5-6 milioni d’anni fa), in seguito alla chiusura dello Stretto di Gibilterra ed alla conseguente interruzione dei collegamenti tra Mar Mediterraneo ed Atlantico. La formazione di un bacino chiuso e poco profondo avrebbe provocato una forte evaporazione e creato estesi depositi salini, emersi in seguito costituendo il substrato principale dell’area. Sono presenti diversi tipi di gesso: i più diffusi sono i selenitici, a forma di ferro di lancia o di coda di rondine, che prendono il nome dalla loro luminosità lunare (selene = luna); sono comuni anche gli alabastrini, gessi microcristallini simili al marmo per il candore e la luminosità, mentre i gessi detritici sono di consistenza sabbiosa e colore opaco.

Il substrato gessoso, particolarmente solubile, ha favorito l’instaurarsi di processi carsici. Le acque piovane, infiltrate nel sottosuolo attraverso pori, microfratture e canali, hanno dato origine a numerose cavità sotterranee, mentre in superficie hanno lentamente inciso e modellato le rocce. Ciò ha creato un paesaggio caratteristico e di notevole interesse geomorfologico, ricco di forme carsiche superficiali di varie dimensioni e forme: le doline (conche circolari chiuse che raccolgono le acque piovane convogliandole nel sottosuolo attraverso inghiottitoi), le valli cieche (valli fluviali che si interrompono bruscamente in corrispondenza di pareti rocciose) e i karren (microforme carsiche costituite da scanalature parallele che si sviluppano sulle superfici rocciose). In particolare, nella parte settentrionale dell’altopiano, le numerose doline e valli cieche presenti descrivono un fitto reticolo a maglie poligonali che richiama la struttura di un alveare, originando un particolare paesaggio definito “Honeycomb-karst”.

La Grotta

La Grotta di Santa Ninfa costituisce, per gli aspetti geomorfologici e per la ricchezza delle concrezioni, la più estesa e più interessante delle 40 cavità scoperte nell’altopiano carsico. Si tratta di un complesso ed articolato sistema ipogeo, prevalentemente orizzontale ed esteso circa 1400 m, formatisi ad opera del torrente Biviere che, nascendo alle pendici di M. Finestrelle, scorre per circa 2,5 km nell’ampia valle cieca del Biviere e termina il suo corso superficiale in corrispondenza di un’imponente parete gessosa. Qui è situato l’inghiottitoio, un salto di circa 7 m attraverso cui le acque si riversano nel sottosuolo contribuendo alla formazione della grotta. Il corso d’acqua sotterraneo, dopo aver attraversato la cavità, riemerge in una risorgiva.

 

La Grotta di Santa Ninfa, caratterizzata da due sistemi di gallerie sovrapposte, è costituita da diversi cunicoli incisi e sagomati dalla forza delle acque che, un tempo, riempivano completamente la cavità. Il ramo superiore, ormai quasi asciutto, è ricco di spettacolari formazioni (cupole, canali di volta, meandri, ecc.) testimonianza dell’antico passaggio delle acque. Nel ramo inferiore attivo, caratterizzato da scorrimento idrico, la continua azione di erosione e sedimentazione del corso d’acqua provoca una lenta evoluzione della morfologia degli ambienti ipogei. Le concrezioni, sia di calcite che di gesso, presentano notevoli dimensioni e un’estrema variabilità cromatica e morfologica: colate e colonne, stalattiti ed infiorescenze parietali (minuti e trasparenti cristalli di gesso che assumono forma di fiori e coralli) raggiungono le dimensioni di qualche metro ed interessano gran parte delle gallerie e dei saloni. Negli angoli più riparati crescono le eccentriche, stalattiti modellate dalle correnti d’aria che sembrano sfidare la forza di gravità. In alcune zone, nell’acqua limpida custodita in piccole vaschette, si sviluppano le pisoliti, dette anche “perle di grotta” per la loro bellezza e rarità.

La Flora e la Fauna

La flora

Un tempo ricoperto quasi integralmente da macchia e da bosco mediterraneo, il territorio protetto è stato influenzato da una secolare antropizzazione. Le attività legate all’agricoltura e al pascolo hanno modificato il paesaggio originario, ed i rimboschimenti, attuati dal 1980 circa con essenze estranee al contesto ambientale del territorio (prevalentemente Pino ed Eucalipto), hanno impoverito la diversità degli ambienti naturale. Tuttavia la Valle del Biviere ed il comprensorio rivestono notevole interesse floristico: sono infatti presenti ben 13 endemismi (specie che vivono esclusivamente in una determinata area), tra cui si ricordano Dianthus siculus, Silene sicula, Satureja fruticolosa, Euphorbia ceratocarpa; vi sono anche diverse altre specie rare o localizzate, tra cui Sedum gypsicola, Colchicum bivonae e Colchicum cupanii, Ophrys ciliata, Salix pedicellata, che mettono in evidenza il ruolo di rifugio svolto dall’area protetta per la salvaguardia della ricchezza floristica dell’entroterra siciliano.

Numerose sono le associazioni vegetali: la profumata gariga a timo arbustivo sugli aridi ed assolati versanti gessosi, l’intricata macchia ad alloro, rosacee arbustive e sommacco (un tempo largamente utilizzato per la concia e la tintura delle pelli); la vegetazione rupestre, localizzata sulle ripide pareti gessose, annovera la presenza di numerosi endemismi fra cui Brassica tinei e Gypsophila arrostii mentre le aride praterie ad alta diversità floristica sono dominate dall’Ampelodesmos mauretanicus. Il vallone Biviere ospita una rigogliosa vegetazione ripariale comprendente anche il pioppo nero, l’olmo minore e il salice. Nel tardo inverno e nella primavera, i prati sono punteggiati dai colori intensi delle orchidee selvatiche, presenti con ben 10 specie nell’area protetta.

La fauna

Per la diversità degli habitat presenti, la riserva costituisce un’oasi ed un rifugio per numerose specie animali, sia stanziali che migratorie. Il laghetto Biviere e la piccola sorgente ospitano una ricca comunità di anfibi, costituita da specie vulnerabili per la progressiva riduzione degli habitat lacustri, tra cui si segnala il discoglosso, presente esclusivamente nel Mediterraneo occidentale (Sicilia, Spagna e Nordafrica). Tra i rettili sono presenti il biacco e la biscia, diffusi e facili da osservare, ma anche il saettone ed il ramarro. I mammiferi sono gli animali più elusivi e difficili da osservare, anche per le loro abitudini crepuscolari e notturne; sono diffusi la volpe, il coniglio selvatico ed il riccio, mentre più raramente è possibile notare la presenza della martora e della donnola, piccoli mustelidi voracissimi. Lungo i sentieri spesso si rinvengono gli aculei dell’istrice; è accertata anche la presenza del toporagno di Sicilia, un piccolo insettivoro endemico dell’isola. Strettamente legate alle numerose grotte che si aprono nell’area sono i pipistrelli, fra cui Pipistrellus kuhlii, Hypsugo savii, Pipistrellus pipistrellus, Rhinolophus hipposideros, Rhinolophus ferrumequinum, Miniopterus schreibersii; tutte le specie sono protette da leggi nazionali e comunitarie perché a serio rischio d’estinzione.

Tra gli uccelli è da rilevare la presenza dei coloratissimi e vivaci gruccioni, che in estate sostano e nidificano nella Valle del Biviere. Durante le escursioni è possibile osservare il lento volo planato della poiana e l’atteggiamento a “spirito santo” del piccolo gheppio. All’interno del bosco risuonano i versi della ghiandaia e della tortora ed i canti delle cince, dei cardellini e degli usignoli. A fine estate i nibbi bruni iniziano la loro migrazione per l’Africa.

È di particolare interesse la fauna cavernicola della Grotta per gli adattamenti morfologici ed ecologici all’habitat ipogeo. Gli studi svolti hanno evidenziato la presenza di una comunità faunistica ricca e diversificata, costituita sia da specie troglofile fortemente legate all’ambiente cavernicolo (tra cui l’isopode Androniscus dentiger, l’aracnide Meta bourneti, il dittero Triphleba antricola) che da specie epigee che penetrano occasionalmente nella cavità, attratte dalle condizioni ambientali favorevoli rispetto all’aridità del clima epigeo. Recentemente, è stata scoperta all’interno della grotta una specie di artropode nuova per la scienza: il millepiedi Choneiulus faunaeuropae.

Le tracce dell’Uomo

Il monte Finestrelle (662 m s.l.m.) prende il suo nome dalle piccole tombe rupestri scavate nel versante meridionale, del tipo “a forno” o “a grotticella artificiale”. Le tombe, che mostrano piante semicircolari o semiellittiche e rettangolari, rientrano certamente nella tradizione funeraria siciliana pre- e protostorica, meglio nota nella Sicilia orientale (Pantalica). Le tombe più antiche, con cella a pianta circolare, risalgono all’età del Tardo Bronzo (2.000–1.000 a.C.), mentre quelle a pianta rettilinea si collocano intorno ai primi secoli del I millennio a.C. La massima fioritura della necropoli è attestata intorno al IX-VIII secolo a.C.

Le tombe, esposte a Sud, erano distribuite una accanto all’altra in file orizzontali; ma la maggior parte di esse è ormai andata perduta a causa di frane e crolli progressivi della scarpata gessosa, e le poche rimanenti sono ridotte a semplici nicchie scavate nella roccia, con la volta crollata e senza l’architettura originaria. Nella necropoli sono stati rinvenuti diversi reperti, oggi conservati presso il Museo Archeologico di Palermo.

Il comprensorio

Santa Ninfa

Il territorio di Santa Ninfa è stato abitato fin dalle epoche protostoriche, come dimostrano i numerosi rinvenimenti di tombe e corredi funerari in contrada Sepolture e nelle necropoli di Finestrelle e di Castellaccio. L’attuale centro abitato, che prende il nome dalla martire palermitana, è stato fondato da Don Luigi Arias Giardina nel 1605. Dalle tre colline su cui sorge il paese, ad una quota di circa 465 m s.l.m., è possibile ammirare un vasto territorio che va da Selinunte a Mazara del Vallo, fino a raggiungere le Isole Egadi. Dopo la tragedia del terremoto del 1968, che ha distrutto circa l’80% delle case, è ormai ultimata la lenta opera di ricostruzione dell’abitato eretto nello stesso sito dell’antico paese. Santa Ninfa è rinomata nella provincia di Trapani per la tradizione gastronomica a base di carne, salsiccia, formaggi e ricotte; notevole anche la produzione di merletti e ricami. Da visitare il Museo Nino Cordio, che ospita una ricca collezione di incisioni, dipinti ad olio, affreschi e sculture del poliedrico artista, ed il Museo delle Emigrazioni, dedicato all’emigrazione politica siciliana in America, dopo i moti dei Fasci Siciliani del 1894 e la Mostra permanente di Preistoria “Pietra prima cultura” .

 

Gibellina

Le fonti più antiche fanno risalire l’origine di Gibellina ad epoche anteriori alla colonizzazione greca dell’VIII secolo a.C. L’attuale nome deriva dall’arabo Gebel-Zghir (piccolo monte) o Gebel-in (due colli), testimonianza della lunga dominazione araba. Totalmente distrutta dal terremoto della Valle del Belice (1968), è stata ricostruita in un nuovo sito, distante circa 20 km da quello antico. Durante la ricostruzione sono stati coinvolti numerosi artisti contemporanei, fra cui Consagra, Pomodoro, Cappello, Burri, per fare della nuova Gibellina un “laboratorio a cielo aperto di scultura contemporanea”. Tra le varie opere si ricordano la Stella di Consagra, spettacolare porta d’ingresso al paese, le Case Di Stefano, il Sistema delle Piazze, il Palazzo del Municipio. Da visitare il Museo delle Trame Mediterranee, che raccoglie costumi, gioielli, tessuti, ceramiche e oggetti d’arte di popoli dell’area mediterranea (Sicilia, Egitto, Tunisia, Palestina, Marocco, Spagna, Algeria, Albania, ecc.) con una grande forza espressiva ed un carattere transnazionale e interdisciplinare, ed il Museo Civico d’Arte Contemporanea, che ospita una ricca collezione di grandi artisti contemporanei (Scialoja, Rotella, Corona, Beuys, Consagra, Accardi, Sanfilippo, Fontana, Guttuso, Pirandello, Schifano, ecc.). La Fondazione Orestiadi ogni anno organizza un interessante programma culturale visitato da migliaia di turisti.

Nei dintorni della riserva naturale è raccomandata la visita al Cretto di Burri, una colossale opera di land-art che ricopre le rovine di Gibellina vecchia, ed ai ruderi di Poggioreale e Salaparuta, gli antichi centri abitati distrutti dal terremoto ed abbandonati dalla popolazione.

La riserva naturale aderisce alla Rete Museale e Naturale Belicina, che opera per la valorizzazione e la promozione dei siti di interesse culturale e naturalistico della Valle del Belice.

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